mercoledì 27 giugno 2012

Me lo darebbe un bacio? da Dialoghi in corto:

Me lo darebbe un bacio?

lunedì 25 giugno 2012

Ciò che stiamo scrivendo è sempre cieco:

"Non si può conoscere il proprio stile, e usarlo. Si usa sempre uno stile preesistente, ma in un modo istintivo che ne plasma un altro attuale. Lo stile presente si conosce solo quando è passato e definitivo e si torna a scorrerlo interpretandolo cioè chiarendosi come è fatto.
Ciò che stiamo scrivendo è sempre cieco. Se ci viene bene (se cioè dopo, ritornandoci, lo stimeremo riuscito) non possiamo per il momento sapere...".
Cesare Pavese

domenica 24 giugno 2012

Due aforismi di Oscar Wilde

Li ho trovati molto potenti e ispiranti; così non ho resistito:

L'arte non dovrebbe mai cercare di rendersi popolare. È il pubblico che dovrebbe cercare di rendersi artistico. C'è un'enorme differenza.

Esistono due modi per non apprezzare l'Arte. Il primo consiste nel non apprezzarla. Il secondo nell'apprezzarla con razionalità.

Oscar Wilde


sabato 23 giugno 2012

Pavese e Golding: spunti sulla natura del male

Dopo aver letto "Il Signore delle mosche", capolavoro indiscusso di William Golding (1954), mi imbatto, chissà se solo per un caso, in un paio di appunti da "Il mestiere di vivere", di Cesare Pavese:

(10 nov.)
Sdegnare di commettere una malvagità composta è un modo di prender coscienza che non si è più giovani. (cfr. 14 ott.) È il tema adatto a raccontare che la gioventù è finita...

e tornando al 14 ott.

"Il voler commettere una malvagità ad ogni costo, violentando la propria natura, è tipico dell'adolescenza e del bisogno di provare a se stessi che si è universali, al di là di ogni norma".

Entrambi gli scritti di Pavese risalgono all'autunno del 1939. Sono interessanti da confrontare come spunti di analisi sulla fisionomia del male. L'unico punto forte e più dissonante, immagino per la visione pessimistica di Golding, è il passaggio "violentando la propria natura", che in Golding si trasforma in una violenza incendiaria sulla natura per una scelta profonda di natura, distruttività dello spazio di azione comune, contro ogni possibile speranza di coesione e comunione. Meglio consonante, invece, la prova di universalità a se stessi (penso a Jack, ai cacciatori, al predominio, all'orgasmo della caccia, ai visi dipinti).
Da approfondire.

venerdì 22 giugno 2012

Copertina, in attesa del logo

Ecco la copertina del romanzo, curata da Alessandro Mitola, in attesa del logo della Casa editrice  Il Pavone:



mercoledì 20 giugno 2012

L'azzurro e l'autunno della notte: appunti da taccuino

 Il grande disagio che mi prende nella fase di ripristino di alcune storie, è dato in primo luogo dalla nostalgia della dimensione emotiva in cui le ho tenute per diverso tempo in premurosa gestazione; fattore pluridimensionale, in questo caso specifico, che lascia una scia molto forte anche a certe distanze, qualsiasi dimensione rappresenti il movente padre di ritorno e di intervento preciso su quel luogo, – in questo caso sarebbe corretto dire su quella luce di luogo o vago topos luminoso dove il lavoro nasce e poi affonda, come sott'acqua. In effetti con "L'azzurro della notte", ho rotto, senza deciderlo e senza saperlo ancora mentre lo facevo, alcuni freni inibitori della mia sensibilità e percezione del reale di quel preciso momento, gestendo e tradendo nell'azzurro anche l'autunno del cielo, la modalità febbrile di una massa opaca e crepuscolare riversata dagli ambienti aperti ai movimenti interni di tutti i personaggi del ghetto e dell'oltreghetto. L'azzurro è quindi l'autunno del ghetto ebraico e ombroso, dalle tegole bagnate, dai vetri e dagli interni assediati. Un colore stagionale, come di una specie autoctona quasi estinta.  Non esiste più un cielo che grava ma un cielo in cui si affonda come in un cuscino.  Questo è stato l'aspetto più complesso e rischioso di tutta l'elaborazione dimensionale della storia, che risulta letteralmente bagnata da questo tipo di sguardo mutante sulle cose e sulle persone. 
La copertina di questo lavoro, ormai prossimo alla pubblicazione, è una fotografia di Alessandro Mitola: Curves, di cui ho già scritto in precedenza, dove si evince tutto l'autunno di questo azzurro.

martedì 19 giugno 2012

Ancora più di quel poco

Scrivere poco e togliere molto, ancora più di quel poco.
Oggi si incita a buttare fuori il più possibile, come se nel gesto quantitativo si moltiplicassero le possibilità di mietere parole di valore. testimoni del proprio ingegno. Scrivere molto è valere quanto hai gettato in un giorno, come il contadino, il medico di notte con i tempi fiumi di una flebo, la mano bianca sul polso sottile che non risponde. Il netturbino, un caffè della mezzanotte, le corde si son rotte... 
Non importa la qualità o la natura del seme. Nemmeno il terreno, ma la folata calda del tuo getto, è così che un po' si ragiona. La nuvola di fumo, e il resto che verrà...
Dipende, non sempre sarà così, quasi mai sarà come si crede, come si spera, come ti si dice di credere e di sperare: può essere utile come training, ma non sempre i metodi collaudati vincono. Non basta un solo metodo. Nemmeno mille metodi o milioni di metodi saranno sufficienti a sancire la qualità del seme e del terreno. Il rapporto tra i due elementi, sempre più oscuri. Puoi gettarne uno solo, buono, in un terreno adeguato, o al contrario perdere un'intera esistenza con semi buoni in terreni sbagliati o semi cattivi su terreni buoni. O entrambi inadeguati.
Scrivendo poco e togliendo molto, ancora più di quel poco, mi accorgo e poi mi accordo.
Qualche volta mi ricordo.

lunedì 18 giugno 2012

Il tempo si consuma

Ieri mattina, da una panchina in ombra di una villa, apprendo dal giornale della scomparsa di Giuseppe Bertolucci.
Così mi decido a inserire questi versi affettuosi e toccanti di suo padre Attilio, a lui dedicati, dalla raccolta Viaggio d'inverno, del 1971. 

Il tempo si consuma

Sono entrato nella gran folla mista
della messa di mezzogiorno, in cerca
di te, ch'eri là dall'inizio,
bambino diligente, anima pura
affamata di Dio, e con inquieto
occhio ho scrutato fra i banchi
inutilmente.
Ma da una tela umile veniva
incontro alla mia ansia il garzone
di falegname, Gesù, della tua età,
a rincuorarmi, mentre intorno, al fioco
accento del sacerdote lontano
si mescolava l'agitazione terrena
delle ragazze e dei ragazzi tenuti
lontani dal bel sole di domenica.
Così, d'improvviso, in un angolo vicino
alla porta, t'ho ritrovato, quieto
e solo, m'hai visto, ti sei
accostato timidamente, ho baciato
i tuoi capelli, figlio ritrovato
nel tempo doloroso che per me e te
e tutti noi con pena si consuma.

mercoledì 13 giugno 2012

I lumi a sera: un estratto dal Capitolo VII

"Nonna Iole passò da Martina e le portò delle fragole. Martina maneggiava le fragole e la guardava. Poi si guardava nello specchio dell'armadio e muoveva la bocca, mormorando con le mani bagnate. Faceva le vocali. Era coricata e pallida e continuava a fare le vocali. In tutte le combinazioni silenziose e possibili:aeiou;aieou;aoeiu;aueio;eaiou;iaeou;oaeiu;uaieo......come le varianti o i moduli pianistici della tecnica. Per le dita. Tutte le possibili combinazioni alternate. L'allieva pianista Martina baciava i suoni nella bocca. I suoni che emetteva il tasto con una vocale di bocca stanca erano baciati dentro la bocca dell'emissione. 
Adelina baciava il bosco da bambina. Con la bocca e con gli occhi. Uno spavento del genere può avere radici profonde, diceva ancora il medico dinotte. Mi dica, faceva il medico notturno, che cosa ha fatto sua moglie poco prima del suo mutismo? Ha suonato forse un rondò? Ha fatto un puzzle con Adelina di un castello d'Austria, all'imbrunire. Le guardavo di spalle, entrambe. Erano così sole, col capo chino, diceva il marito al medico notturno, mentre si dedicavano alle torri. C'era una luce serale sulle torri e sul mio cuore, diceva al medico dinotte. Ho pensato a cose oscure guardandole di spalle. Così mi sono voltato dall'altra parte. Il nonno paterno di Sabina e marito di Martina materna che cercava di ricordare. Era molto difficile ricordare e ricostruire. Sia le torri del castello d'Austria che le dinamiche dello spavento e dell'infelicità in un'esistenza". l.s.

martedì 12 giugno 2012

Dell'indomani

Al silenzio
del sole
il muro
barrava
di rovere
le strade;
un lungo
canneto,
nel sereno
di un
amore
finito,
è la ringhiera
dove
la sera
dell'indomani
ricami,
in una
luce
seria
di mare.

lunedì 11 giugno 2012

Prefazione di un azzurro notturno

Da Tumblr, la prefazione di Manuela Giacchetta al romanzo "L'azzurro della notte".

domenica 10 giugno 2012

L'azzurro della notte: un estratto dal capitolo XIV

"Adesso volevo solo non esserci più, sparire, come Lampo, in un lampo, quando beveva il latte bluastro con la lingua stanca di cercare e gli occhi chiusi; ed era già svanito da quello che era appena un attimo fa. E poi era calata una notte di un azzurro ancora così strano e profondo. Ritornando alla finestra osservavo le ultime ombre degli alberi sulle stradine rosate, e quel sottofondo di pasto liquido, che mi palpava della sua buona sonorità, tenendomi al riparo da me stesso. Forse, per quella notte, questo amico improvviso mi avrebbe favorito il migliore riposo, in qualche modo mi sarebbe stato anche di conforto e di un certo aiuto, nonostante la molestia del suo ingresso-agguato ufficiale. 
Mi affacciai al mio balcone, alzando la testa e slanciando il viso verso il punto più alto e stellato, in quel momento il più pulsante e il più vicino a me. Mi sembrava di avvertire il profumo degli astri, o il loro flebile canto tremendo. Abbassai una mano e l' abbandonai aperta. L'umido del suo muso dilagò nel palmo, come in un primo bacio notturno e disperato".

sabato 9 giugno 2012

Portrait nostalgie

Dalla foto
la nostalgia
dello sguardo
è la pioggia
che non riconosco
più la riva,
la faccia magrina
ha la sua avanguardia
quando mi raccoglie
in una casa
in fiamme,
nel fumo
di un viso
così amato
in un completo
più corto
blu e rosso
è sgualcito
dal tempo
a più non posso,
se sbatte
nel sudore
lo scontento:
nell'attimo
di un pompino
ascoltammo
un filo di vento,
dalla tua nuca
il mio cuore
più vicino
è un cerino
mai spento.

venerdì 8 giugno 2012

I lumi a sera: I primi otto capitoli

I lumi a sera. Capitolo VIII: ultimo in download free

Rendo disponibile in questa sede il Capitolo VIII de "I lumi a sera". Ultimo della parte resa scaricabile da Scribd e dal blog.  Ringrazio le pochisssime ma preziose persone che hanno seguito i primi passi di questo esperimento faticoso e complesso, sperando che la lettura o anche la breve scorsa di qualche capitolo, non sia stato del tutto del tempo perso (che è anche il rischio più grande che corrono nello stesso tempo scrittori e lettori). I Capitoli successivi saranno ancora rielaborati e riproposti, come mi auguro, in altre sedi. I precedenti capitoli, compreso questo, li raccoglierò linkati nel prossimo post.
Buonanotte e buona lettura:

VIII Capitolo I lumi a sera

giovedì 7 giugno 2012

Istantanea:

Il tuo profilo 
fuma
come 
in un filo 
risaliva
d'olio
la prima 
nebbia. 

La luna 
dal vetro 
ne trema
il bacio 
brusco 
nel tuo tram.

mercoledì 6 giugno 2012

La mia pronuncia è al buio

Pensando:
quello che scrivo ha il suono o il sonno della mia voce? Il mio accento, la mia inflessione. Il tipo di sonorità, di ritmo,  di cadenza o anche di fraseggio? Quale sarà la pronuncia delle mie parole quando le scrivo? Sarà la stessa di quelle che qualcuno avrebbe ascoltato se le avessi solo dette? La stessa che mi consente di essere riconosciuto al telefono, da un amico o da un familiare stretto? Con quel tipo di affetto, di confidenza? Io credo di no.
Quando sento il suono interno della parola scritta, non c'entra più la mia storia, quella della mia vita, ma buona parte di quella che immagino. Non sento il mio accento, quindi non sento la mia voce, il mio timbro, la mia cadenza, il mio humus, così come non sentiranno la mia reale pronuncia quotidiana quelli che stanno leggendo questo mio post e che non mi hanno mai sentito parlare, nemmeno al telefono. Questo perché il percorso di narrazione o di scrittura in senso lato, ha delle componenti personali e intime che si distanziano dall'approccio quotidiano della mia espressione "relata" per sopravvivenza. Quando scrivo sono relato a qualcuno senza strategie economiche, di sopravvivenza o di comunicazione diretta. In alcuni casi sono relato a un  nessuno, che mi organizza e mi dissolve. Credo che se dovessi immaginare le mie parole scritte dalla mia voce, così com'è, quelle che devo o che sto per scrivere, se dovessi solo accompagnarle con un sussurro mentre le scrivo, sarebbero del tutto diverse, altre parole scritte da un altro, realizzate intorno alla reazione della mia pronuncia e non della sfera più interna e profonda, ma non riconoscibile, rispetto a quella che mi presenta e mi ricompone come entità definita al telefono.
Non sono la mia voce, così come non sono le mie parole. Sono forse il loro suono interno o la loro risonanza, che è tutta un'altra cosa. L'odore del fuoco e non la fiamma viva e visibile. Camminare con la mia pronuncia non mi consentirebbe di mantenere il contatto con questa natura oscura e molteplice, che si organizza intorno al sogno, al pensiero e intorno a molto altro. Senza una pronuncia distinguibile, ma con una mia lingua in continuo rinnovamento e mascheramento, che mi consente di rimanere al buio in questa perpetua combustione.
Credo che per me sia così: la mia pronuncia è al buio.

martedì 5 giugno 2012

I lumi a sera. Capitolo VII.

Capitolo VII

lunedì 4 giugno 2012

I lumi a sera. Capitolo VI

capitolo VI

sabato 2 giugno 2012

Sull'intervento correttivo

È proprio in occasione dei capitoli a puntate, che ritorno a scoprire ancora nuovi particolari e sfumature sull'intervento correttivo nei miei scritti. Sono sempre più convinto che il bello dello scrivere sia in questa costante riabilitazione,  spesso gioiosa, che in diversi casi rimane anche la parte più viva ed entusiasmante del percorso, quella che riserva più sorprese, ma anche particolari momenti di intimità con la propria visione del linguaggio, le proprie scelte formali e stilistiche, che non sono mai troppo separate dai contenuti. Spesso ho il desiderio di sbagliare volontariamente quello che scrivo, per gustarmi a distanza tutta la traversata successiva e scoprire con calma le isole nascoste del tesoro o anche quelle più povere e disabitate, non cambia. In ogni intervento e riabilitazione, cerco quindi di ripristinare una certa armonia che si è interrotta, quell' interruzione momentanea di un certo flusso circolatorio. Il corto circuito e la dissonanza, che però, molte volte, sono anche il vino buono della storia. Ripristinare in diversi casi è anche sporcarsi le mani e impastare la parte buona con quella che nella sua apparenza sembra cattiva, o viceversa. Tutte le volte che mi ritrovo una mia pagina stampata tra le mani, c'è sempre qualcosa da fare, anche quando questa pagina è stata collaudata, preservata da tutti i pericoli e da tutte le possibili incongruenze, ci sarà sempre un motivo valido per lasciare anche un solo segno di intervento, con la speranza che si possa fare meglio. Se questo un giorno non avvenisse, allora quello sarebbe un giorno triste. Ne sono convinto.

venerdì 1 giugno 2012

I lumi a sera. Capitolo V

V Capitolo. Revisione severissima, dove credo di aver tranciato più della metà della bozza, dopo averla tenuta sotto gli occhi per lunghi periodi di tempo, senza che mi avesse mai destato grandi sospetti. (Quest'esperienza di una prima parte del romanzo a puntate sperimentata sul blog, ha anche l'utilità di rendermi più desto e consapevole).
In questo capitolo: compare Sabina.

I capitoli precedenti:
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV

Capitolo V i Lumi a Sera