sabato 29 agosto 2015

Posandosi nelle proprie cose


In fondo il senso incompiuto di questo dire affiora davvero in un lieve posarsi, quel posarsi che mi pone in contatto con le cose del mio mondo, la mia parte non ufficiale e ortodossa, almeno quella non conclamata e decisa prima - o tatuaggio ardito che sbuca da un bikini per un oscuro pegno d'amore. 
Pensavo a questa azione del posarsi negli anfratti di questo mio (fini)mondo caotico ed espressivo, con un gesto sempre più astratto e fragile, come se impigliato negli strati infiniti di un gheriglio, appena schiuso da una noce spaccata male. 
L'azione del posarsi non la sento così vicina a quella che forma il riposo. Un posarsi in un gesto creativo trattiene in sé un presente estatico quanto possibile di continui mutamenti e diversivi. Sono fermo in questo frullo difficile di intensità e di sovversioni, ma con la febbre alta. Sono muto, ma con un grido in gola che strilla senza clamori.
Quando avverto la necessità di ritrovarmi dentro un qualsiasi nuovo passo, – che suona sempre come il primo, come se tutti gli altri non fossero mai esistiti, non fossero mai partiti e vissuti da me – quello che davvero conta è questo stare fermo e franco in questo posarmi, in un raccoglimento povero e appannato, senza storia, regole, ordinamenti e direzioni, ma solo nelle poche cose che mi rappresentano del loro strano silenzio, della loro angustia e invisibilità. Nulla di quello che potrebbe apparire o formarsi nel tempo sospeso di questo mio grido paziente, avrà l'intimità di quel qualcosa che vibra e che divora, ma senza ancora dirsi e tradirsi nel suo vero essere. Una luce soffusa che palpa i segreti della mia stanza,  come il celeste tenue di una lampada il seno quasi nudo da un affresco; senza economie o possibili identità di sorta. Ma soltanto posandosi come un polso molto sottile nelle mie cose più piccole, in un altrove da insetto che adesso mi è già qui: e, dunque, mi basta.























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