mercoledì 27 aprile 2016

Ernst Bloch e l'affetto arioso della docta spes


Lungo il bellissimo corso esplorativo di Hans Küng, affrontato nel suo denso e intrigante "Dio esiste?", mi ha molto colpito questo approccio così singolare alla speranza professato dal filosofo marxista eterodosso Ernst Bloch, che pur dalle regioni del suo atesimo, rivela dei momenti generosi e fulminei di vastità, come alternativa secca al nichilismo e alle sue asfittiche dottrine:

"L'importante è imparare a sperare. Il suo lavoro non delude, tende al successo e non al fallimento. Lo sperare, che supera il timore, non è passivo come questo e nemmeno prigioniero del nulla. L'affetto dello sperare trascende se stesso, dilata gli uomini invece di restringerli, può persino non tenere sufficientemente conto di ciò che li finalizza internamente e di ciò che li condiziona all'esterno. Il lavoro di questo affetto richiede uomini che si gettino attivamente dentro il divenire di cui essi stessi fanno parte. Esso non tollera una vita da cani, che si sente gettata solo passivamente nell'essere, in un essere inesplorato, riconosciuto persino miserabile. Il lavoro contro l'angoscia esistenziale e le manovre della paura è rivolto contro i responsabili di esse, in gran parte ben identificabili, e cerca all'interno del mondo cio che è in grado di aiutare il mondo – e può essere trovato. Quanto si è sempre sognato che una vita migliore è possibile! [...] Gli uomini, come il mondo, hanno una sufficiente quantità di buone prospettive; nessun progetto è buono senza questa fiducia fondamentale in esso".

Ernst Bloch






















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