mercoledì 14 settembre 2016

I Will Say Goodbye




Ho un ricordo bellissimo di questo disco, anche per la sua copertina e per il suo titolo, come per i suoi tre splendidi musicisti che vi hanno suonato. Tutti questi elementi sono interconnessi con la musica e allo stesso modo la musica di questo disco rievoca la distanza del titolo e dell'immagine della copertina. 
Ho pensato a questo disco questa sera, ritornando a casa in auto e trovandomi davanti una macchina che mi ricordava questa, in una prospettiva molto simile. Procedeva con lentezza, come se non volesse mai svanire e nello stesso tempo mai arrivare, eppure procedeva, con una sua disciplina malinconica e severa, senza perdere colpi, ma senza disperdere i tratti vintage e preziosi della sua figura in moto.  Mi ha sempre colpito la figura di quella macchinina del disco, dove in qualche modo mi rivedevo, come qualcosa di piccolo e di fragile, ma anche di caparbio. Un qualcosa o un qualcuno che si muoveva solo di spalle, un po' di nuca alla sua stessa vita. Senza scomparire mai dalla vista, senza interrompere mai l'inconsolabilità di quella distanza, nutrita di immaginazione e di timidezza.
La distanza dalla mia auto e la successiva, quando ho pensato al disco, era proprio questa. Molto simile, se non la stessa, rispetto al soggetto della copertina del vinile. Anche la strada, l'asse viario sul quale viaggiavo, non sembrava così diversa da quella ritratta nella foto. L'evocazione precisa del ricordo è nata dallo spazio preciso che ci divideva.  Avrei voluto lasciarla così questa distanza, tra me e l'auto successiva ed evocatrice, come se dipinta o appena fotografata da un insetto. Lasciando che tutto rimanesse intinto e scandito da questa geometria sentimentale e iniziatica di un altro tempo, così raffinata e pura in questo suo esercizio magistrale di semplicità. La semplicità in fondo non muore mai. Non stanca, non soffoca, non pesa. Ma esiste e resiste agli orrori e alle mistificazioni del tempo. Esattamente come quella di questa foto, con questa macchina che si allontana per sempre... in una sua poetica e cimento di estinzione.
Ricordando questa copertina ho risentito dentro di me la musica incalzante di quel trio jazz – era il trio del pianista Bill Evans, con Eddie Gomez al contrabbasso ed Eliot Zigmund alla batteria – che ha accompagnato diversi pomeriggi e serate della mia vita nella mia camera,  con amici lontani, ragazzi, ragazze, e anche con mio padre, che guardava accanto a me la copertina e mi traduceva il titolo. Credo che fosse un suo regalo quel disco.
Le cose che si scoprono e che poi si amano, entrano dentro la vita per sempre, senza lasciarci più.  Forse mai più. Come la lontananza della macchina della foto di copertina. Diventando silenziosamente importanti. È l'unico modo per riconoscerne il valore, il senso, l'eternità. La loro discreta, commovente fedeltà. È l'unica vera poetica che al momento riconosco.













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