venerdì 16 settembre 2016

Il freddo della segregazione e il rifugio nella poesia




È bello e toccante assistere a questo fluire dei contrasti, nella narrazione di Bernhard. Nel dolore più cupo e soffocante, c'è sempre il tempo e lo spazio per uno squarcio, una boccata di luce improvvisa, quando tutto sembra già chiuso, nel pieno della segregazione. Una come questa:

"Già a quell'epoca mi ero rifugiato nella scrittura, scrivevo, scrivevo, non so più, centinaia e centinaia di poesie, esistevo soltanto quando scrivevo, mio nonno lo scrittore era morto, ero io che potevo scrivere, adesso avevo la possibilità di poetare per mio conto, osavo farlo, adesso, avevo a disposizione questo mezzo per raggiungere i miei fini, e allora con tutte le mie forze mi gettai nella scrittura, abusavo del mondo intero per trasformarlo in versi, quei versi, se pur privi di valore, significavano tutto per me, niente al mondo per me aveva maggiore significato, e io non avevo più niente, non avevo altro che la possibilità di scrivere poesie".

Da "Il freddo (Una segregazione)" di Thomas Bernhard



























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