lunedì 16 gennaio 2017

Letteratura e giudizio estetico condizionato. Da Mann a Bernhard e Marías

Mi accorgo di quanto sia difficile porsi in modo obiettivo di fronte a un'esperienza artistica, diciamo anche creativa, sia dalla prospettiva di chi ne sia l'artefice, che di chi ne fruisca i contenuti, l'eventuale nutrimento – nella scrittura e nella lettura avverto un comune intento creativo: chi scrive e chi legge completano, in quell'incontro, un tratto comune e interattivo esperienziale complesso. Ritornando all'obiettività, mi accorgo dei condizionamenti che ci legano ad amare ciò che amiamo e ad allontanare se non ad odiare, in diversi casi, ciò che non ci arriva e non ci cattura subito o, ancora peggio, non ci intrattiene e non risulta adeguatamente appetibile, come se solo in quel godimento e in quell'appetibilità fosse custodito il suo valore. O come spesso anche accade con un'ideologia, con un credo assimilato come latte nelle pareti domestiche, che si assorbe e si calcifica perché parte condivisa, quasi lineamento comune tra persone che abbiamo amato, nelle quali sentiamo di credere e che a volte ci convincono della giustezza di alcune o di gran parte delle loro scelte in materia di politica, di etica o di letteratura e del loro intrinseco valore assoluto, come se avessero una garanzia di validità e di assoluto per il solo fatto che appartengano al loro e nostro mondo e non a quello degli altri. 
Mio padre considerava Thomas Mann un grandissimo scrittore. Uno dei più grandi e "La montagna incantata" uno dei più bei romanzi mai scritti. Il miglior romanzo mai scritto, ricordo ancora il suono caldo della sua voce quando ne parlava. Ho amato molto Thomas Mann e "La montagna incantata" anche perché ho amato molto mio padre; per la profonda nostalgia di quel grande amore. Ma col tempo e attraverso una maturazione precisa di un certo orecchio e di una certa esperienza, anche molte diramazioni di amori letterari importanti, si sono fusi nella saliva del mio gusto e della mia interiorità con la convinzione che vivessero di una loro grandezza autentica e indipendente dall'evocazione del loro amore, della loro efficacia o della loro presa, ma quindi per qualcosa che trascendesse il fatto che fossero opere o scrittori amati da mio padre o che mi avessero avvinto e convinto per quel determinato amore incondizionato e profondo, ma perché avevano in sé quella sorta di luce vera – questa la inserisco come citazione "clandestina" bertolucciana – di una loro intrinseca verità autonoma superiore, che non sempre potrà essere discutibile o ritenersi valida per il solo fatto che rientri in certi canoni o parametri numerici e popolari di consenso o di gusto personali, o che appartenga a certi credo o vincoli consanguinei più o meno autorevoli, come nel mio caso di poco sopra. (Aggiungo che lo stesso discorso potrebbe valere per chi fa esattamente il contrario: odiando, in letteratura, tutto ciò che è stato profondamente amato dalle persone importanti della propria vita.)
Se qualcosa non arriva fino a noi è anche perché forse non siamo ancora pronti per quella qualità di amore o rapimento e non perché l'opera in questione vacilli. Questo potrebbe avvenire in certe situazioni, ma non accade di sicuro in determinate altre. Se qualcuno non ama "La Recherce" di Proust, ma anche una miriade di testimonianze contemporanee, in materia di narrativa penso a "Estinzione", ad "Amras" o  "Perturbamento" di Thomas Bernhard, a "Domani nella battaglia pensa a me"di Marías, il problema non sarà mai legato a queste opere o a una loro possibile imperfezione di sorta. Di questo ne sono certo. Anche se diversi lavori non avranno mai l'universalità per prendere tutti allo stesso modo e quindi per essere amati, c'è da dire che non era soltanto quella la loro funzione primaria e nemmeno sarà la controprova di un loro valore intrinseco e universale, riconosciuto in diversi casi da fonti autorevoli e attendibili (riguardo Marías penso a Pietro Citati, il quale considera, non a caso, "Domani nella battaglia pensa a me" uno dei più grandi romanzi contemporanei, credo il più grande romanzo contemporaneo mai scritto). Ci sono cose grandissime che mi arriveranno con ritardo o che non mi arriveranno mai, ma la cui grandezza non sarà minimamente scalfita da questa mia resistenza o freddezza alle loro fiammate. Allo stesso modo sentirò di difendere a spada tratta l'universalità di tantissime opere e scrittori, al di là del grande amore che provo per loro, che non sarà mai una prova della loro grandezza, ma solo un lieve accidente. Sono e saranno grandi comunque, al di là di quanto siano stati avvertiti tali. Anche per chi non li avrà letti e non li avrà amati. Soprattutto, direi.  In diversi grandi casi, non tanto rari, è e sarà così. Secondo me.











 
























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