sabato 4 febbraio 2017

Da quel vuoto insondabile


Alcune idee di scrittura, fin dal loro primo passo o apparire alla coscienza, si muovono in un vuoto insondabile, quanto prezioso. Prezioso, forse, grazie a questa sua insondabilità. D'altra parte non si tratta soltanto di un vuoto, ma di un vuoto insondabile; l'aggettivo implica quindi che l'insondabilità non sia parte automatica del vuoto, ma una particolare caratteristica insita nel patimento dello scrivere, che quindi può o meno rivelarsi.  
Eppure è proprio in questo particolare tipo di vuoto che riesco a smuovere il peso di certe idee, con lo sgretolamento accurato di certe murature. Alcuni pensieri murati da tempo, incatenati dentro di me, trovano il loro spargimento linguistico attraverso una zona ideale quanto terrificante di vuoto. La loro aria sarà quindi data da questo fattore di insondabilità, legata anche al fatto che la mia volontà non li ha sempre tenuti fermi e segregati sotto il suo controllo, ma li ha scoperti naturalmente lungo la strada della ricerca, dell'esplorazione. Ma sempre in un vuoto, in una zona neutra, senza altezze, soffitti, pavimenti, pareti di sale ben arredate, ma soltanto aberranti profondità, altrettanto insondabili, quindi, perché non comuni e non classificabili. Destinarsi a un certo vuoto, in apparenza, potrebbe far pensare a non avere limiti al movimento delle proprie intenzioni e diramazioni creative. Come se lo stesso moto creativo, muovendosi nel suo vuoto più funesto, potrebbe non avere un suo perimetro, una sua connotazione sostanziale e librare, senza confini circoscritti, dentro l'aria di un'idea artistica o di struttura per favorirne lo sviluppo. Invece nel processo anche il vuoto poi si tinge di architetture, spesso invisibili, come i percorsi emozionali, ma comunque articolate entro certe particolari linee tangibili, nonostante il fattore dell'insondabilità. Il rapporto con il proprio desiderio di essere testimoni di una parte creativa e questo fumoso aspetto del vuoto, che spesso si essenzia e si accompagna al fattore primario e scatenante di un'idea, è un elemento che mi affascina e che mi annienta. Il pericolo che la mia stessa idea nucleica, che mi porta a immolarmi in una certa stesura, sia poi la fiamma viva del suo stesso incendio, elemento principe della sua più grande rovina, è un contrasto molto interessante. Pensare che si è spinti in avanti, dentro l'orbita di un proprio scritto, dagli stessi elementi che potrebbero da un momento all'altro distruggerlo, è parte della sfida. Il rapporto con il mistero è l'incipit fondamentale che mi porta a rompere il buio di un qualsiasi silenzio e riaprire il viso nel vuoto dell'esplosione, ma anche nella purezza di quella possibilità. 
Ieri parlavo di spalancare finestre su un certo paesaggio invernale e di camminarci poi dentro, a lungo, allo sfinimento, fin dal primo mattino. Scrivere di primo mattino, nel freddo, ha un senso diverso: maggiore purezza, maggiore insondabilità di quel vuoto. Anche maggiore silenzio, quindi maggiore chiarezza percettiva dello spazio. Anche lì, nella nettezza gelida di quel bianco di un primissimo mattino, potrei cogliere un vuoto che smarrisce e che insieme rianima della ricchezza del suo mistero, come del moto perpetuo di questo nastro di fragranze lontane, che a volte scorre, senza una precisa destinazione. Scrivere come camminare: nel vuoto di un bosco, per esempio. Un vuoto di idee difficili ma dense di respiro, sarà sempre il caso di attraversarlo, con un tuffo dentro le fitte nebbie del mattino. Ecco perché mantengo fede allo spasmo, fin dal primo passo nel buio, anche, ma soprattutto in quella dimensione preconcettuale e poco definita, mentre si dipingono dal nulla le luci rosse e fioche delle finestre di un albergo, dove però, oltre a smarrirmi e a sparire, potrei anche incontrare i gradi reali della mia intonazione alla vita, e non quelli di un altro cliente o del portiere di notte. A volte può capitare di confondersi, di scrivere credendosi altro da quello che si è. Ne sono certo, avviene spesso. Una tagliola che può scattare per ogni frase, anche una singola parola può diramare altri mondi, che si credono propri e che poi non lo sono. Nel vuoto più aberrante questo problema non si pone. Vi è il rischio di non scrivere più, ma anche in quella rinuncia vi è dell'unicità, un tratto proprio: insondabile ma ancora vero di resa al proprio passionale mistero di perdersi.
















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