mercoledì 8 febbraio 2017

La parola dell'immagine


È un'epoca di contrasti: la civiltà è dominata dall'immagine, in tutte le sue forme, e dall'impazienza di trasmettere a tutti i costi la propria personale inquadratura nel sottomettersi a questo o a questi impulsi. E intanto aumentano a dismisura i cultori della parola scritta, semmai approdati a questa forma espressiva per percorsi personali e rispettabilissimi, ma in un contesto dove la grande facilità del comunicare e del raggiungersi, come dell'immortalarsi in ciascun istante della propria compulsiva giornata, non lascia il tempo per ritrovarsi, per dire quello che si sente, per avvertire il proprio impulso prima di comunicarlo, non tanto perché si abbia qualcosa di  così urgente da esprimere ma per espletare la funzione o coazione dello strumento di condivisione di turno in una congestione ossessiva da contatti.
Se fotografo in diretta la mia prima colazione, apparecchiata su di una tovaglietta americana, sul tavolo di marmo della mia cucina e la condivido all'istante, sarà  molto diversa da quella che scriverei in una lettera a un amico lontano, e anche da quella che ho descritto in questo post, come da un'altra che potrei inserire all'interno di un mio racconto o romanzo. Cambierebbe molto, da quell'istante epifanico di quotidiano. Ma soprattutto nella pazienza di assentarsi dall'immediatezza della testimonianza, qualsiasi sia la sua forma. È proprio l'urgenza violenta di esserci subito, adesso, prima che tutto passi o che qualcuno fotografi e si esprima prima e quindi di sentirsi centrale e di presenziare in quella condivisione, a cancellare il senso e la natura dell'impulso, la sua verità, soprattutto. La parola usata come apparecchio tele-fotografico, per immortalare i propri spazi vitali, rappresenta uno dei contrasti visibili di questo momento post-moderno di transizoni e negazioni e rischia di equipararsi all'ossessione di un selfie trapianato nel mondo dei caratteri della propria lingua, svuotandola di tutto il suo contenuto, potere e mistero. È il movente e tutto l'apparato e la modalità di approccio a configurare una specie umana mutante, che come prima, fondamentale attività, comunica attraverso il suo smartphone, e poi in second'ordine, guida, parla, mangia, cammina, pensa, semmai, ogni tanto, ama o scrive. Presenziare a tutti i costi, con il miglior sorriso e la camicia ben stirata, potrebbe non avere molto a che fare con la libertà, ma con lo stesso demone ludopatico e aberrante che imprigiona a vita, anche se con effetti diversi, ma non meno condizionanti sulla propria natura creativa e sulla propria lucidità. E in questa fretta di esserci e di occupare per automatismo, senza alcuna riflessione, accudimento e stagionatura, la fetta più grande di un certo spazio condiviso e prima degli altri, si delinea la catastrofe linguistica che diventa immagine e non lascia più mistero ma solo fretta, angoscia performante, con la conseguente e spiccata flessione/aberrazione semantica che come diceva Eco, con un lieve ma tragico sarcasmo, porterà a confondere per sempre Nino Bixio con nino Biperio!









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