martedì 7 febbraio 2017

La tristezza di Nadson, in una pubblicazione critica di Federico Rispoli




Giusto stamattina vengo a conoscenza di questo lavoro bio-critico di Federico Rispoli, mio nonno materno, sul  profilo del giovane poeta russo ottocentesco della tristezza Semën Jalovlevič Nadson e della sua opera. Una vecchia edizione Cimento, editore napoletano, che mia madre avrà recuperato da qualche parente, immagino da mia zia, sua sorella.  Poi chiederò meglio; stamattina ero di corsa, non ne ho avuto il tempo.
Nadson è morto giovane a soli ventiquattro anni e nella sua breve vita ha pubblicato un solo libro di poesie. Non ricordavo che mio nonno si fosse mai interessato a un poeta russo così sfortunato e particolare, dal momento che si dedicava molto, – a quanto ricordi e a quanto mi è stato riferito – al tradurre dei lunghi testi letterari in prosa dal russo all'italiano, più che a elaborarne criticamente di poetici nella nostra lingua.  E poi perché proprio Nadson, poeta russo dimenticato, che, a quanto pare, non può certo competere con un Lermontov, un Puskin, un Nekrasov? Forse per quel suo sguardo pensoso, sempre ferito da qualcosa, fin dall'infanzia? Per qualcosa che avrà rapito la sua ispirazione e il suo interesse critico agli autori russi, per certe atmosfere dalla profonda desolazione o forse perché questo lavoro gli sarà stato solo commissionato? Quanto mi andrebbe di saperlo, o forse potrebbero coesistere entrambi i fattori: un naturale e sentito interesse per una poetica ottocentesca, discretamente dimenticata, – non immagino quanto a torto o a ragione: lo approfondirò con calma nella lettura – sollecitato da una parallela richiesta di elaborazione di un compendio critico che forse, all'epoca della pubblicazione, aveva bisogno di una certa inquadratura.
Mio nonno, nella sua introduzione, lamenta il fatto che Nadson ormai fosse diventato un poeta meramente antologico, ma anche molto trascurato dalle stesse antologie, che lo avrebbero degnato di due, massimo tre liriche. Anche questo riscontro è indice di solitudine, quella che si macera in una poetica sofferta e forse ingiustamente incompresa. L'effetto nell'essermi addentrato in questo volumetto così fragile, e intriso quasi della stessa afflizione del giovane poeta morto di tubercolosi, come dei ricordi sfumati e lontani di famiglia, è stato molto strano e suggestivo. Un tocco diverso, che ha reso tutto più leggero e insieme più tormentato, nel lieve giro di poche pagine, come se vi fosse qualcosa che mi appartenesse.

In copertina, alcuni versi del poeta Nadson, che dalla foto di sopra non sono ben visibili:

"Non ditemi: Egli è morto – egli vive?
Anche se l'ora è infranta – il fuoco ancora arde,
Anche se la rosa è strappata – essa ancora fiorisce,
Anche se l'arpa è spezzata – un accordo
ancora singhiozza.

S. Ja. Nadson



Semën Jalovlevič Nadson











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