martedì 18 aprile 2017

Volere o dover scrivere


Stamattina, dovendo ritornare a un mio testo, avvertivo una strana resistenza. La sensazione di non avere nulla di così importante da dover dire. Forse nulla da dire. Oggi era una giornata da passare in silenzio, senza voce. Il solo pensiero di tracciare una sola riga, anche una sola parola, mi affaticava. Eppure qualcosa mi diceva di accostarmi ugualmente al testo, che da gennaio non ho lasciato nemmeno un giorno, e proseguire quel cammino misterioso, senza mete, certezze o speranze. Ma facendolo senza volerlo, forse imponendomi di volerlo o dovendolo solo fare. Eppure quando ho cominciato a scrivere, dopo la prima colazione, mi sono sentito bene. Ho dimenticato se quello che stavo facendo faceva parte di una mia precisa volontà, di un mio dovere o piacere; se avevo davvero qualcosa di interessante e profondo o al contrario un bel nulla da dire. 
Ho lasciato che la mia parte annebbiata si aprisse e si fondesse con tutte le altre parti meno indolenti con cui avevo colmato quel manoscritto, fino a stamattina. Ogni mattina cambierà sempre qualcosa nell'approccio con questa struttura. Non potrò prevedere domani quanta volontà avrò di aggiungervi altre parole. La certezza che sia tutto inutile o inadeguato continuerà ad accompagnarmi, ma nello stesso modo avrò giorni di luce e di desiderio, dove il solo scrivere mi appagherà, e altri, come questo, in cui tutto avrà un peso opprimente, e mi renderà difficile abbandonarmi a un atto che sentirò insignificante e del tutto inutile. 
Non si tratta solo di noia, ma di un peso atavico, primordiale, quello che a volte mi fa pensare di essere artefice di una forzatura quando comincio a scrivere parole su parole, l'una dopo l'altra, come elementi mutanti di un convoglio senza destinazioni. Se penso troppo agli stati d'animo di quello che mi accingo a fare o anche a non fare, a tutti quelli che direzionano le mie scelte, non sceglierei più, quindi possibile che vivrei di meno, dedicando il mio tempo solo alle cose davvero volute, ispirate, fino al loro ultimo attimo di vita. Eppure anche in questa resistenza a continuare un certo scritto o a trovare delle motivazioni valide per irrorarlo, potrebbe essere presente un'ispirazione. Potrei essere ispirato anche nel patire una condizione difficile, in relazione a un mio progetto, una condizione che attraverso le mie parole potrebbe diventare altro o sapere di altre fragranze. Allo stesso modo un mattino luminoso, nel quale desidero avvicinarmi al mio manoscritto con un ardore quasi mai provato, – così come non mi è successo questa mattina – potrebbe lasciare nel testo il deserto, e semmai quel tipo di ardore e di fame dello scrivere potrebbe rimanere solo una risonanza della mia persona di quegli istanti, separata completamente dall'opera di quel giorno.  
Ma nonostante tutto quello che in ogni attimo della mia vita verrà fuori dalle mie parole, anche se andranno distrutte con tutto il manoscritto che le avrà tollerate, in qualsiasi caso il tempo passato a scrivere, con qualsiasi delle mie emozioni, sentimenti, sensazioni, avrà avuto un senso. Ed è per questo che ascolterò sempre quella voce che mi dice di fare, nonostante il cattivo tempo, la stanchezza e il vuoto nell'animo. Farlo non perché sia un atto dovuto o voluto, ma perché vi sarà dell'altro, a cavallo tra volontà, dovere o desideri. Qualcosa che non so, ma che varrà sempre la pena o la follia di essere perseguito, anche solo per la sua incognita, per il suo piccolo mistero.


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